Durante i terribili mesi della pandemia gli italiani hanno iniziato ad avere a che fare con un dato eloquente, ovvero con la carenza di lavoratori dello Stato. Naturalmente in quei tempi le cronache parlavano di lavoratori del comparto sanità.
Ma il problema è largamente diffuso, e va oltre quel comparto estendendosi a tutta la Pubblica Amministrazione. Pare infatti che in meno di 5 anni a partire dal 2025, saranno circa un milione i dipendenti pubblici che lasceranno il servizio. Per questo si cercano soluzioni.
Ed una tira dentro anche i ragionamenti sulla riforma delle pensioni. Imponendo lo stop al pensionamento d’ufficio, introducendo una flessibilità in uscita che molti media oggi chiamano lavoro a oltranza. Ma di cosa si tratta davvero?
Riforma pensioni, stop al pensionamento a 67 anni, lavoro a oltranza e flessibilità nelle PA
Pochi dipendenti pubblici oggi ma ancora di meno domani. Lo scenario da cui parte una nuova ipotesi di riforma delle pensioni, anche se limitata a questi lavoratori, è proprio questo. Le PA perderanno lavoratori più anziani, quelli maggiormente esperti e probabilmente fondamentali per il corretto funzionamento della macchina Stato.
Convincere i lavoratori a restare in servizio più a lungo pare sia una delle soluzioni più gettonate. Partendo però da liberarli da un vincolo che è quello della cessazione automatica e d’ufficio dell’attività lavorativa.
Una volta raggiunti i requisiti utili alle pensioni di vecchiaia ordinarie e alle pensioni di anzianità (pensioni anticipate ordinarie), ecco che la cessazione automatica con pensionamento si materializza oggi.
Ecco cosa c’è allo studio per la legge di Bilancio
Tutto parte da una vecchia legge che nel 2014 mirava esattamente all’obiettivo opposto, ovvero al taglio del personale delle Pubbliche Amministrazioni, notoriamente in esubero. Adesso si pensa di fare il contrario.
Quindi, niente più pensionamento automatico a 67 anni per la quiescenza di vecchiaia o a 42,10 (41,10 anni per le donne) anni di contributi per le pensioni anticipate ordinarie. Almeno questa è l’ipotesi al vaglio.
Per ridurre il numero di uscite serve quindi prolungare le carriere, ma si deve trovare un modo per facilitare il tutto, senza costringere i lavoratori al lungo e farraginoso iter della domanda di trattenimento in servizio. Nella prossima legge di Bilancio potrebbe quindi essere introdotta una norma che, senza penalizzare i lavoratori da aumenti dell’età pensionabili decise a livello apicale, produrrebbe una flessibilità in uscita su base volontaria. Magari trovando anche un modo per spingere i lavoratori a restare in servizio. E sicuramente gli incentivi alla permanenza a partire da un surplus di stipendio potrebbe essere una strada percorribile. Sia per chi deve rimandare la pensione, ma anche per chi, e sono tanti, decide di lasciare la Pubblica Amministrazione passando al lavoro nel settore privato.