Vecchie pensioni, riforma Fornero, nuove pensioni e tagli, ecco la vera verità che nessuno dice e perché secondo noi tutto è diverso Vecchie pensioni, riforma Fornero, nuove pensioni e tagli, ecco la vera verità che nessuno dice e perché secondo noi tutto è diverso

Sulle pensioni troppe bugie agli italiani: santificare la Riforma Fornero è assurdo, ecco l’analisi indipendente

Vecchie pensioni, riforma Fornero, nuove pensioni e tagli, ecco la vera verità che nessuno dice e perché secondo noi tutto è diverso

Ultimamente l’argomento pensioni è senza dubbio ai primi posti tra gli argomenti dei quotidiani, dei media anche in Web e dei talk show televisivi. Se non ci fossero guerre, conflitti e le elezioni USA, la materia non avrebbe rivali dal punto di vista dell’opinione pubblica.
Ma questo evento si ripete ogni anno in concomitanza con il varo della legge di Bilancio. Perché ogni anno si parla di riformare il sistema e di cancellare la legge Fornero. E ogni anno via al consueto ping pong, con qualcuno che propone nuove misure a volte ben sapendo che non si potranno realizzare.

Ed altri a pontificare su tagli alle pensioni, su proposte ritenute assurde e sui rischi di sostenibilità del nostro sistema pensioni.
Alcuni santificano ancora oggi la riforma Fornero, perché se è vero che c’è chi accusa quella legge di essere il male assoluto, c’è chi la ritiene come il “miracolo dei miracoli”, perché si deve a quella riforma la salvezza del sistema che altrimenti sarebbe già scoppiato. Oggi però analizzeremo alcune verità alternative che però non riscuotono successo e di cui pochi ne parlano.

Vecchie pensioni, riforma Fornero, nuove pensioni e tagli, ecco la vera verità che nessuno dice e perché secondo noi tutto è diverso

Davvero non si può rinnovare il sistema previdenziale perché se si mette mano alla legge Fornero salta tutto in aria? Davvero la riforma Fornero è stata una specie di grande toccasana? Domande che bisogna porsi, perché molti sostengono che a queste due grandi domande bisognerebbe rispondere di si.
Si parla di cali demografici, di pochi occupati a fronte di sempre più pensionati, di aumento dell’aspettativa di vita e di aumento della spesa pubblica incontrollabile sulle pensioni.

Partiamo da un presupposto. Quando fu varata la riforma Fornero si parlava di una crisi economica gravissima che doveva per forza essere superata con sacrifici da parte degli italiani.

E giù con la riforma Fornero, quella del decreto Salva Italia (inevitabile che scegliessero un nome di questo genere), delle lacrime e sangue e soprattutto delle lacrime in diretta TV ed in conferenza stampa dell’allora Ministro del Lavoro, la Professoressa Elsa Fornero.
Una grave crisi economica che spinse il governo a tagliare la perequazione di stipendi statali e pensioni (al confronto il taglio del meccanismo della rivalutazione pensioni 2024 è un dolcetto), salvo poi scontrarsi nei governi successivi, con l’incostituzionalità dei provvedimenti.

Una grave crisi economica che solo dopo qualche anno, e dopo la grave crisi economica successiva alla pandemia, si scoprì non fosse certo la più grave di tutti i tempi.

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Se è vero che è grazie alla Fornero che il sistema pensioni si è salvato da quella grave crisi economica del 2011, allora perché non è scoppiato dopo, con la crisi economica dovuta alla pandemia, alla guerra in Ucraina e a tutto il resto? Come mai nonostante tre anni di utilizzo della quota 100 (pubblicizzata dal mainstream come il nemico assoluto della sostenibilità del sistema) il sistema è ancora in piedi?
I conti non tornano. Perché in Italia rispetto a tanti altri Stati UE, le pensioni sono super tassate già oggi e da sempre. Il 40% di prelievo su una pensione, cioè si pagano 800 euro su una pensione da 2.000 euro che diventa 1.200 netta.

Eppure, il problema è che questi 1.200 euro sono troppi. I numeri del sistema non mentono? Forse perché quando si fanno i calcoli sulle spese dell’INPS si considerano anche le uscite assistenziali, per esempio per gli invalidi.

Se invece si prendessero a riferimento le sole pensioni contributive, si noterebbe come spesso ciò che il pensionato riesce ad incassare è giusto ciò che ha versato per 40 anni di lavoro. Ipotizzando uno stipendio medio da 1.500 euro al mese per 40 anni di stipendio e aliquota contributiva al 33%, significa che un lavoratore ha versato 260.000 euro circa di contributi.

Aspettativa di vita, età pensionabile media, assistenza e previdenza, perché non si considera il quadro generale?

Se prendiamo a riferimento il nuovo rapporto dell’ISTAT sul “Benessere equo e sostenibile” si può notare come la speranza di vita è pari a 83,1 anni, nello specifico, per gli uomini 81,1 anni e per le donne 85,2 anni. In risalita dopo un calo inevitabile dovuto ai troppi decessi per la pandemia. In base all’ultimo rapporto annuale INPS esce fuori che la media dell’età di pensionamento in Italia è di 64,2 anni.

Troppo bassa secondo molti esperti. Bisogna allontanarla. Ma a conti fatti un uomo, in base alla stima di vita prende la pensione per 17 anni ed un mese in media, prima di passare a miglior vita. Per le donne invece ci sono 21 anni di pensione media. In linea generale, 18,9 anni è il periodo di godimento medio del pensionato. In pratica, uno che ha lavorato 40 anni per andare in pensione, alla fine ci va per meno di 20 anni.

Ancora meno quelli che escono con 67 anni di età, ma almeno loro possono farlo con solo 20 anni di versamenti e non con 40 anni. Chi ha la fortuna di prendere una pensione netta di 1.000/1.100 euro al mese riesce così a fare in tempo prima di morire, a recuperare ciò che ha versato di contributi. Il deceduto prematuro rispetto agli 83,1 anni di vita media, sicuramente va in perdita. naturalmente i longevi gravano di più sulle casse statali.

Ecco perché i conti non tornano

Un sistema che a vederla così sembra equilibrato, non certo disastrato come vogliono farci credere. Ma se alle uscite e alle entrate di un singolo contribuente si aggiunge la cosiddetta solidarietà, allora tutto cambia. Perché se i versamenti dei contributi di chi lavora devono coprire anche le misure assistenziali come l’Assegno Sociale per esempio o alcuni trattamenti per gli invalidi, allora ecco che effettivamente il sistema va in sofferenza.

Ma le misure assistenziali dovrebbero essere messe a bilancio della FIscalità generale e non di quella previdenziale.

La nostra è un’analisi indipendente, un nostro punto di vista che non vuole essere da lezione a chi sicuramente meglio di noi ne capisce, come chi fa le leggi e chi le predispone.