Un uomo, andato in pensione con quota 100, ha svolto il compito di cronometrista per un’associazione sportiva dilettantistica, ma l’Inps gli ha chiesto di restituire 55.000 euro di pensione erogata e, secondo l’istituto, non spettante. La pensione gli è stata sospesa per tutto il 2023 e per parte del 2024.
A fronte di poche centinaia di euro per il ruolo da cronometrista svolto, un uomo di 66 anni è rimasto senza percepire la pensione per moltissimi mesi. Quando si parla di quota 100, questa non è certamente la prima storia di questo genere che si è verificata. La quota 100, infatti, permetteva di accedere alla pensione con 62 anni di età e con 38 anni di contributi, ma vietava espressamente di lavorare, anche in modo saltuario e anche se l’occupazione era retribuita con somme irrisorie.
Per la vendemmia addio alla pensione
Era successo qualche anno fa anche a un altro uomo in pensione con quota 100 che aveva passato 8 ore a vendemmiare percependo un compenso minimo. L’Inps, in quel caso, chiese la restituzione di 24.000 euro, ma l’uomo aveva fatto ricordo e il tribunale lo aveva accolto, pur rimettendo tutto al parere della Corte Costituzionale.
La normativa della quota 100 era molto rigida al riguardo: anche una sola ora di lavoro retribuita può portare alla richiesta della pensione percepita per tutta l’annualità in questione. Da qualche anno a questa parte, però, i pensionati vittime delle richieste di restituzione da parte dell’Inps hanno deciso di rivolgersi ai tribunali per chiedere giustizia. E un caso tra tutti, dovrebbe essere da esempio.
Il caso del pensionato che aveva lavorato
Il caso è quello di un pensionato che si è visto bloccare dall’Inps per tutto il 2023 la pensione, per un importo pari a 65.000 euro per essere stato assunto per tre giorni, a inizio 2023, con retribuzione totale di circa 84 euro. Il pensionato, di fronte alla decisione dell’Inps aveva presentato ricorso al tribunale del lavoro di Verona.
La norma che ha introdotto la quota 100 specifica che questa tipologia di pensione “non è cumulabile, a far data dal primo giorno di decorrenza della pensione e fino alla maturazione dei requisiti per l’accesso alla pensione di vecchiaia, con i redditi da lavoro dipendente o autonomo, ad eccezione di quelli derivanti da lavoro autonomo occasionale, nel limite di 5.000 euro lordi annui”.
Ma non specificale conseguenze sanzionatorie per chi non rispetta il divieto e l’Inps interpreta la disposizione in base al fatto che qualsiasi reddito da lavoro dipendente comporti la sospensione della pensione per tutto l’anno con richiesta di restituzione di quanto già erogato.
Il Giudice del Lavoro di Verona ha accolto il ricorso del pensionato e ha dichiarato illegittima l’interpretazione dell’Inps condannando l’istituto a restituire al pensionato gli importi non erogati. Il provvedimento evidenzia che “non è ragionevole ammettere la parziale cumulabilità fra lavoro autonomo e trattamento pensionistico, ponendo come limite l’importo di € 5.000,00 annui ed imporre la restituzione dell’integrale trattamento pensionistico nell’ipotesi in cui il pensionato svolga un’attività di lavoro dipendente acquisendo redditi anche di poche migliaia di euro” andando a sottolineare anche che la norma non prevede un regime sanzionatorio.
Secondo il tribunale di Verona, quindi, lavorare come dipendente crea un indebito ma solo per un importo pari a quanto percepito come reddito da lavoro dipendente.
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